Il coraggio di Giacomo Matteotti

Di Mattia Lasio

Il sommo poeta fiorentino Dante Alighieri lo ha definito in maniera sarcastica ‘’il bel paese’’. Un bel paese che, spesso, è stato macchiato di vergogna da figure sinistre. Figure che hanno cercato di ottenere potere e autorità in maniera meschina e violenta. Figure che hanno caratterizzato e dato vita a uno dei periodi più cupi della storia nostrana, ovvero il ventennio fascista periodo del quale Benito Mussolini rappresentò l’elemento di spicco, in senso del tutto negativo e spregiativo. L’ascesa del movimento politico del fascismo fu favorita da un insieme di fattori non positivi, dettati dalla Prima guerra mondiale e dalla sua conclusione, che portò con sé svariate importanti problematiche e una grande difficoltà nel ripartire: era un periodo nel quale le sofferenze della guerra e i numerosi problemi del dopoguerra aprivano un vuoto di sfiducia non da poco nella società italiana. Parecchi cittadini richiedevano l’intervento di un ‘’uomo forte’’ capace di risolvere rapidamente le numerose situazioni d’emergenza che si erano venute a creare.  In tanti, inoltre, temevano una possibile rivoluzione di stampo bolscevico e, proprio per questo motivo, era disposti a tollerare il teppismo, le manganellate e i pestaggi del fascisti, considerati dai ricchi proprietari agrari e dalla borghesia come un male minore.  Giovanni Giolitti, noto personaggio della politica italiana e più volte presidente del Consiglio dei ministri, chiamato  a presiedere l’ennesimo governo – in modo tale da riportare un po’ di tranquillità nel Paese – sottovalutò il fascismo, a cui non guardava con diffidenza e a cui diede credibilità politica, commettendo un errore fatale. L’abilità oratoria di Mussolini, la sua capacità di essere un personaggio in grado di parlare alle folle e fomentarle, unita ai timori e all’inettitudine del monarca Vittorio Emanuele III che in occasione della Marcia su Roma invece di stroncare il tentativo fascista non mosse un dito, fecero il resto. Non tutti però, fortunatamente, vedevano di buon occhio il nuovo movimento politico e c’è chi dal principio si batté affinché esso venisse debellato il prima possibile. Giacomo Matteotti fu uno di questi.

Egli nacque a Fratta Polesine il 22 maggio 1885 e venne ucciso il 10 giugno 1924 per opera di una squadra fascista cappeggiata da Amerigo Dumini, sotto gli ordini di Benito Mussolini. Quella di Giacomo Matteotti era una figura colta, preparata, solida. Non solo dal punto di vista culturale ma, elemento ancor più importante, dal punto di vista morale umano. Dopo una formazione classica e il conseguimento della Laurea in Giurisprudenza, Matteotti entrò in contatto con i movimenti socialisti, di cui divenne presto uno degli elementi di maggior valore e di rilievo. Matteotti capì immediatamente la pericolosità della diffusione del movimento fascista e dedicò la sua attività e il suo impegno al tentativo di annullamento della forza di quello che, poco dopo, sarebbe andato a rappresentare uno dei regimi totalitari più pericolosi e dannosi di sempre. Nel 1921 pubblicò l’importante Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, all’interno della quale venivano denunciate per la prima volta le violenze delle squadre d’azione fasciste durante la campagna elettorale delle elezioni del 1921. Nel 1924, dopo essere diventato il segretario del Partito Socialista Unitario, venne pubblicata a Londra la traduzione del libro di Giacomo Matteotti intitolato Un anno di dominazione fascista, dove venivano riportati con attenzione e scrupolosità tutte le azioni violente e prevaricatrici compiute nei confronti degli oppositori.

La campagna antifascista di Giacomo Matteotti ebbe il suo culmine nel momento in cui, il 30 maggio del 1924, il segretario del Partito Socialista Unitario pronunciò quello che sarà il suo ultimo discorso pubblico alla Camera, durante il quale prese la parole per contestare in maniera decisa i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile del 1924. Proprio il 6 aprile la consultazione elettorale si svolse in un clima di grave violenza e intimidazione: in molti seggi gli elettori furono controllati e intimoriti dagli agenti fascisti.  Il ‘’listone’’ di Mussolini, che raccoglieva al suo interno anche candidati liberali e popolari, ottenne il 60% dei voti popolari e la maggioranza assoluta dei seggi, con 403 deputati. Le elezioni del 1924 furono le ultime elezioni politiche tenute in Italia, prima di una lunga interruzione. Le successiva elezioni, infatti, furono indette a distanza di ben ventiquattro anni, durante il 1948. Un mese a ventiquattrogiorni dopo, il 30 maggio, il deputato socialista Giacomo Matteotti denunciò apertamente ed energicamente in un discorso alla Camera il clima di violenza che aveva preceduto e accompagnato il voto e i brogli che si erano svolti ai seggi.  Pochi giorni dopo, il 10 giugno del 1924, Matteotti uscì di casa per dirigersi verso Montecitorio optando per il passaggio sul lungotevere Arnaldo da Brescia, in modo tale da raggiungere il Corso tramite gli archi di Porta del Popolo. In questo specifico punto, secondo le testimonianze di due giovani ragazzi, era aspettato da un auto con a bordo alcuni membri della polizia politica del partito fascista: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Codesti individui caricarono forzatamente Matteotti all’interno di una Lancia Kappa di proprietà del direttore del ‘’Corriere Italiano’’ Filippo Filippelli, all’interno del quale venne pugnalato a morte mentre cercava in tutte le maniera di scampare al loro agguato.  Già a partire dal giorno seguente l’omicidio Matteotti, l’11 giugno, la notizia della sua scomparsa e della sua assenza in Parlamento venne pubblicata sui giornali creando scalpore e profonda indi graziato. Era cosa, tristemente, nota che Matteotti fosse stato assassinato dai fascisti. Il suo corpo venne ritrovato il 16 giugno dal cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza Ovidio Caratelli, nella macchia della Quartarella, un bosco nel comune di Riano. L’indignazione per il delitto Matteotti, l’indignazione e la rabbia scatenata da quello che venne fatto nei confronti del deputato socialista, originò la fortemente simbolica – ma dal punto di vista pratico controproducente – Secessione dell’Aventino, ovvero l’allontanamento in segno di protesta dal Parlamento dei deputati dei partiti democratici, i quali rinunciarono a partecipare alle sue sedute. Tale assenza, seppur moralmente ed eticamente di grandissima valenza, facilitò il compito del governo di Mussolini che si trovava in una posizione non facile e vacillante. L’8 luglio il governo fascista, approfittando dell’assenza dell’opposizione, varò nuovi regolamenti restrittivi relativi alla stampa rafforzati dall’obbligo per ciascun giornale di nominare un direttore responsabile.  Gli oppositori di Mussolini e del movimento fascista, non poterono a causa del loro volontario allontanamento più protestare pubblicamente e molti di loro furono obbligati a prendere la via dell’esilio. Successivamente, il 3 gennaio del 1925, di fronte alla Camera dei deputati, Benito Mussolini – che cercò di ostacolare le attente indagini del giurista Mauro Del Giudice, difensore dell’indipendenza della magistratura di fronte al potere esecutivo – si prese la responsabilità del delitto Matteotti, andando a confermare ciò di cui tutti erano ben consapevoli.

Giacomo Matteotti era un uomo dai solidi principi morali, era un uomo consapevole che il movimento politico fascista era caratteristico da numerose falle che necessitavano – con coraggio e perseveranza – semplicemente di essere mostrate pubblicamente. Il giorno stesso del suo assassinio, ovvero il 10 giugno,  Giacomo Matteotti avrebbe dovuto presentare un discorso alla Camera dei deputati nel quale sarebbe andato a rivelare le sue scoperte relative allo scandalo finanziario riguardante la società petrolifera americana della Sinclair Oil, nel quale era coinvolto anche il fratello minore del Duce Arnaldo Mussolini, oltre che elementi molto vicini alla stessa Corona. Tale discorso Giacomo Matteotti non poté mai pronunciarlo, a causa di un movimento che, partito con pochi seguaci, riuscì a sfruttare la debolezza e il malcontento della gente per andare al potere. Un potere malsano, un potere che per vent’anni ha caratterizzato la fase peggiore della storia nostrana, un potere che ha bloccato ed eliminato alcune delle menti migliori della penisola, bloccando tutto ciò che rende una democrazia tale. Un potere verso cui tantissimi non hanno chinato il capo, battendosi con lealtà e tutte le loro forze affinché la democrazia nella sua piena espressione e forza potesse tornare a realizzarsi. Tra questi spicca Giacomo Matteotti, uno dei primi a comprendere la gravità dei metodi fascisti e a pagare con la sua stessa vita un coraggio nobile e saggio, un coraggio che ha rappresentato un fondamentale input per tutti coloro che andarono a fare parte della successiva Resistenza, capace di mettere fine a una pagina brutale e triste della storia italiana. Una pagina di cui non si può non prendere attentamente visione, in rispetto di figure quali il deputato socialista Giacomo Matteotti senza il quale non sarebbe stato possibile dialogare ed esprimere liberamente le proprie opinioni e i propri ideali. Ideale per cui, sempre, varrà la pena dare il meglio di sé.

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