In difesa di Indro Montanelli

Di Mattia Lasio

Indro Montanelli, uno dei più grandi giornalisti italiani di sempre, le cose non le ha mai mandate a dire. Ha sempre avuto una risposta valida appresso a sé e la battuta pronta, ironia notevole e spirito sanguigno da buon toscanaccio quale è stato. Scrittura chiara, limpida e tagliente, in grado di far cadere molte maschere e il costante perbenismo presente nel nostro paese. Doti e qualità note e riconosciute da tutti, o quasi. Infatti il movimento femminista Non una di meno, profondamente indispettito e adirato per la statua dedicata in quel di Milano a Cilindro, così era chiamato simpaticamente Montanelli, ha deciso  di imbrattarla in segno di protesta verso un uomo ritenuto fascista antiquario, paterna sta e, soprattutto, mediocre. Ebbene sì, mediocre: perché le femministe del movimento ‘’Non una di meno’’ così hanno ritenuto l’operato del giornalista toscano. Passino le idee politiche differenti, passino le opinioni totalmente opposte e, probabilmente, agli antipodi, passino le ideologie morali e comportamentali avverse, ma negare l’evidenza – in qualsiasi caso – è dannoso oltre che controproducente. Montanelli è stato un fuoriclasse della parole, un asso del giornalismo nostrano, tra i migliori di tutti i tempi se non il migliore. Individuo arguto, attento ai mutamenti sociali, politici e storici che gli si prospettavano davanti e che è stato in grado di interpretare e narrare. Appassionato di storia, disciplina a cui si è dedicato con l’ausilio di Mario Cervi, saggista e storico italiano originario di Crema, ha realizzato vari volumi relativi alla storia d’Italia. Montanelli non ha mai nascosto la sua vena letteraria e, nel 1950, diede alle stampe ‘’Il generale della Rovere’’, da cui Roberto Rossellini trasse l’omonimo film nove anni dopo. Montanelli fu, inoltre, fondatore di due grandi testate, ‘’Il giornale’’ e ‘’La voce’’, di cui fu direttore e che contribuirono a lanciare figure di spicco quali, giusto per citare il più conosciuto, Marco Travaglio ovvero il fondatore e il direttore de ‘’Il Fatto Quotidiano’’. I risultati ottenuti parlano da soli e rendono Montanelli abbastanza distante dal concetto di mediocrità di cui è tacciato dalle femministe. Femministe che si sono sempre battute – giustamente – per il dialogo, la  libertà di espressione e di opinione ma che non esitano, qualora ci fosse individui con idee distanti dalle loro, ad agire in maniera impulsiva e non propriamente educata. Montanelli non è stato un santo: lo sapeva benissimo lui stesso e non ha mai detto di essere tale. Nessuno, chiaramente, giustifica il fatto che lui abbia acquistato una ragazzina di dodici anni, durante il suo soggiorno in Abissinia, e l’abbia sposata. Nessuno l’ha fatto e nessuno andrà a farlo. Semplicemente il tutto andrebbe contestualizzato perché, come è noto ai più, non è un bene fare di tutto un’erba un fascio e il comportamento di Montanelli, come quello degli altri individui che si trovarono in un contesto analogo, andrebbe esaminato e giudicato con dei canoni e dei parametri relativi all’epoca in cui i fatti sono accaduti. Le femministe si fanno forti della ‘’giornalista’’ Elvira Bonotti, fervida attivista e detrattrice di Montanelli, che definì Cilindro uno stupratore, ovvero colui che compie uno stupro, ovvero un atto sessuale imposto a qualcuno con la forza. Accusa che non può essere rivolta a Montanelli dato che la pratica di comperare delle ragazzine e sposarle, in quel determinato periodo storico a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, era perfettamente legale e praticata. Questo non vuol dire che non si tratti ugualmente di un qualcosa di squallido e immorale, ma da qui a definire Montanelli come uno stupratore e un pensatore mediocre ce ne passa. Le parole sono un bene prezioso di cui disponiamo, probabilmente il più importante in nostro possesso. Ecco, sarebbe il caco di dare alle parole il giusto peso e di adoperarle adeguatamente, evitando di compiere azioni discutibili e veementi che si rivelano inutili e insensate. Le parole consentono di dialogare e il dialogo è necessario per crescere e per confrontarsi in maniera educata e consapevole. Un dialogo a senso unico, come è facile desumere, non è più un dialogo bensì un monologo dove ci si dà la ragione senza aver preso in considerazione le opinioni degli altri. E questo atteggiamento, di qualunque fazione politica sia, andrebbe evitate. Anche perché agendo in tale modo si rischia di cadere in errori che rimandano a correnti tanto detestate da cui, comportandosi in una certa maniera, non si è poi così distanti. Non trovate?

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