Epicuro e la sua lettera sulla felicità: la recensione


Di Mattia Lasio

 Ciò che accomuna tutti, numeri uno e ultime ruote del carro, è da sempre la ricerca della felicità. Il tentativo di afferrarla, ottenerla, stringerla tra le proprie mani, assaporarla anche se per un solo istante. Della felicità hanno scritto molti, non alla stessa maniera chiaramente e non negli stessi contesti. Tra i vari autori, alcuni bravi altri meno, che si sono dedicati all’argomento spicca di misura la figura del filosofo Epicuro, ateniese del demo Gargetto, appartenente alla stirpe dei Filaidi, vissuto tra il 341 e il 270 avanti Cristo. Epicuro rappresenta uno dei pensatori più interessanti, brillanti, amati – e allo stesso tempo odiati – di sempre, come si addice ad ogni fuoriclasse destinato a lasciare un segno duraturo e significativo. Fu un autore estremamente prolifico e attivo, dando vita a circa trecento volumi nei quali non si trovano citazioni altrui ma, solo ed esclusivamente, concetti elaborati di proprio pugno, come a voler rimarcare – sin dal principio – la sua originalità, la sua unicità e il suo modo personalissimo di riflettere e dare forma ai pensieri. Tra le tante opere di valore si segnalano: Casi dubbi, Della natura, libri trentasette, Massime capitali, Della giustizia e delle altre virtù, Lettera sulla felicità. Proprio quest’ultima, ovvero la Lettera sulla felicità nota anche come Lettera a Meneceo, costituisce un piccolo gioiello nella storia letteraria di tutti i tempi, oltre che il testo di maggior rilievo e maggiormente apprezzato del pensatore originario dell’isola greca di Samo. Testo che, differentemente da altri scritti di Epicuro, è difficile non metta d’accordo i più, grazie all’affabilità di quello che viene espresso al suo interno.

Il filosofo greco si mostra chiaro e deciso sin dal principio della nota lettera: ‘’Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro’’.  Queste parole, a distanza di parecchi secoli e di parecchia acqua passata sotto i ponti, suonano come una rassicurazione di cui ognuno necessita, specialmente quando l’età – inevitabilmente – avanza e ci si chiede se si è ancora giovani o già vecchi per realizzare gli obiettivi prefissati. Epicuro raccomanda di non temere l’avvenire e, soprattutto, invita a non provare paura e angoscia verso la morte che – citando direttamente le parole del pensatore greco – ‘’non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza’’.  E’ profondamente inutile e dannoso preoccuparsi di ciò che ancora non si è verificato, impedendo di godere appieno dei momenti che si hanno a disposizione e del piacere – concetto cardine in Epicuro – da essi scaturito. Il filosofo fondatore dell’epicureismo – dottrina filosofica diffusasi a partire dal quarto secolo avanti Cristo – sottolinea che ‘’la morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi’’. Dunque, è per nulla proficuo stare a dannarsi quando si hanno ancora giorni da cogliere e gustare. Mali e beni, il tutto è relativo. Non sempre tutti i beni si rivelano realmente tali, come non necessariamente tutti i mali rappresentano delle disgrazie e degli elementi grandemente negativi. Epicuro mostra l’importanza della calma interiore, mostra quanto l’uso del raziocinio e di una attenta riflessione siano elementi decisivi per non cadere in preda all’ansia e per operare saggiamente e rettamente. Non esiste fortuna o sorte avversa: un individuo dotato di senno e di pazienza saprà gestire anche  le situazioni più difficoltose, vivendo come un dio tra gli uomini.

La Lettera sulla felicità di Epicuro è una lettura formativa, sotto tutti i punti di vista: la si affronta in pochissimo tempo – basta una mezzoretta per i meno dediti all’atto del leggere – ma andrà a rappresentare un momento di importante crescita per chiunque ne saprà cogliere gli insegnamenti e il valore. Non esiste dato anagrafico, come sostenuto dal noto filosofo greco antico, per essere felici o meno ma solamente buona volontà e impegno. Buona volontà e impegno necessari in qualsiasi contesto quotidiano, buona volontà e impegno più forti di ogni tiro mancino e bislacco scherzo della dea bendata. D’altronde si sa, homo faber fortunae suae. Tutto il resto è superabile e meno rivelante di quanto si possa sostenere.

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