Primo Levi e l’urgenza di ricordare

Di Mattia Lasio

Il bisogno di esprimersi, l’urgenza di ricordare, l’urgenza di trasmettere ciò che si è visto con i propri occhi e che si è vissuto: così può essere descritta l’attività di scrittore e la produzione letteraria di Primo Levi, torinese nato il 31 luglio e morto – molto probabilmente suicida – l’11 aprile 1987. Quella di Primo Levi è la storia di un sopravvissuto, di un reduce di una delle fasi della storia più drammatiche di sempre: la Seconda guerra mondiale, la follia assassina del Fuhrer Hitler, la Shoa. Momenti che non possono e non devono essere dimenticati. Mai. Momenti che devono essere ricordati, esperienze da trasmettere alle generazioni future per comunicare la brutalità, l’atrocità e la totale insensatezza di una violenza inaudita e premeditata, causata dalla follia di piccoli uomini. E proprio da questo forte desiderio di comunicare agli altri le esperienze passate – come sostenuto dallo stesso Primo Levi nella prefazione della sua opera – nasce il racconto autobiografico Se questo è un uomo,  opera memorialistica narrante la prigionia del chimico piemontese nel campo di concentramento di Monowitz, lager satellite del complesso di Auschwitz. Prigionia alla quale è riuscito a sopravvivere, rendendola l’argomento principale dei suoi scritti.

Primo Levi fu deportato ad Auschwitz durante il 1944, in un momento che – per quanto drammatico – si rivelò da un certo punto di vista più fortunato rispetto agli esordi dei campi di distruzione. Il governo tedesco, infatti, stabilì di allungare la vita media dei prigionieri – data la crescente scarsità di manodopera – concedendo sensibili miglioramenti nel tenore di vita. Una delle prove migliori e maggiormente toccanti della penna di Primo Levi la si trova nei versi introduttivi al libro, ispirati all’antica preghiera dello Shemà, considerata come la preghiera più sentita della liturgia ebraica. Il termine ebraico Shemà significa ascolta e proprio sull’ascolto Primo Levi  pone il fulcro del suo scrivere: con uno stile asciutto ed esauriente, Levi, si rivolge direttamente – con enfasi – a coloro i quali leggeranno le sue parole. Invita, direttamente, i suoi lettori a prendere attentamente visione di ciò che da lui è stato scritto, raccomandando di scolpire nel cuore ogni singolo termine venuto fuori dalla sua penna. Primo Levi è stata una figura che della memoria ha reso il suo punto di forza, ribadendo il peso del suo valore e dell’importanza  di parlare ai cuori di chi non ha vissuto direttamente la tragedia dell’Olocausto e a ciò si è dedicato per buona parte della sua esistenza.

Levi era una personalità brillante e acuta – formatosi presso il Liceo Classico  D’azeglio, istituto noto per aver avuto tra il corpo insegnanti docenti illustri e decisi oppositori del fascismo quali Norberto Bobbio – capace di raggiungere una più che discreta preparazione in differenti ambiti dell’ambito culturale .  La sua fu una mente versatile e recettiva, che gli permise di rendere dignitosamente sia in ambito umanistico che in ambito scientifico. Ambito scientifico a cui dedicò i suoi sforzi, dopo il conseguimento del diploma di maturità classica, ottenendo la laurea con lode presso la Facoltà di Scienze.  Il valore di Primo Levi sta, nonostante il dolore e l’enorme torto subito, nell’aver descritto in maniera impeccabile e accorta il dramma da lui vissuto, senza rinunciare alla cura per la forma e a riferimenti di spicco come quelli presenti in Se questo è un uomo risalenti all’inferno della Commedia Dantesca. L’essere scrittore di Primo Levi è la rappresentazione della ragione e del confronto come strumenti per poter progredire, anteponendo al malsano odio la giustizia e la capacità di confrontarsi garbatamente. Le sue fatiche letterarie – tra le quali si annoverano pubblicazioni di successo come La tregua, Vizio di forma, Storie naturali, Il sistema periodico, I sommersi e i salvati – hanno ricevuto premi di grande prestigio come ad esempio l’ambito Premio Strega e il Premio Campiello mantenendo uno stretto e inevitabile legame con l’esperienza di prigionia e le conseguenze da essa scaturite.

Primo Levi è uno scrittore da non scordare mai, non semplicemente per la sua bravura, ma per l’umanità dei suoi contenuti e la maturità delle sue parole che devono suonare come monito. Un monito che, a distanza di trentatré anni dalla sua scomparsa, continua a risuonare in coloro che conoscono il peso rilevante del dialogo e la nocività del mettere etichette prive di fondamento. Etichettare chi si ritiene diverso come ‘’straniero’’ è un grave errore, il primo passo per una non comprensione infruttuosa che è portatrice di esiti non certamente felici, come saggiamente Primo Levi ha ricordato. Primo Levi è uno scrittore da riscoprire nel tempo, rappresenta la obiettività appassionata di chi ha preferito al ruolo di vittima quello di testimone e messaggero di una verità che mostra quanto può essere spregevole l’animo umano. Una spregevolezza che giace ancora in alcune figure, una spregevolezza da combattere e arginare. In qualsiasi contesto e in qualsiasi periodo storico.

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